(aprile 2021) POSTILLA sull’opera: qualche giorno fa, contribuendo alle voci Wikipedia inglese e francese sul pendolo di Foucault (nell’ambito dei miei studi per il mio libro sulla relatività) ho notato, prima di vedere la voce francese che indirettamente ne parla, come le grandi lunghezze dei fili (come quello dello stesso pendolo originario di Foucault nel Panthéon di Parigi) servano ad “amplificare” la velocità tangenziale di precessione (quella lungo il cerchio graduato di misura) in modo che l’angolo di precessione tra un periodo e l’altro dell’oscillazione sia visibile ad occhio nudo. La rotazione non è visibile quanto la mia perché io mostro la lancetta dei minuti e non delle ore (la precessione avviene con una velocità angolare dello stesso ordine di quella della lancetta delle ore (al massimo a metà di quella velocità)), e quindi anche fili lunghissimi, con conseguenti grandi ampiezze della pulsazione propria del pendolo planare, non rendono così visibile il movimento a occhio nudo come la mia opera (quello di Foucault di circa 5mm tra un periodo e l’altro che è di 16 secondi, quello nella cattedrale di San Pietroburgo forse il doppio dello scostamento grazie al filo più lungo e alla latitudine più verso il Polo, ma con periodo più lungo), inoltre la velocità tangenziale è da stimare, diversamente dal mio caso, in modo “discreto”, su due posizioni che sono raggiunte in istanti separati in maniera proporzionale all’arco da osservare.
(la mia velocità tangenziale è “continua”: se usassi cifre di un orologio digitale sarebbe meno evidente la velocità che comunque sarebbe sempre visibile anche con cifre piccole)
Gli intervalli temporali in teoria (nell’ipotesi del continuum) potrebbero essere misurati (ovvero l’informazione che portano) senza bisogno dello spazio (in un singolo punto), ma nella realtà fisica (quantistico/discreta) per vedere/misurare il tempo è necessaria la dimensione finita spaziale (necessaria appunto per vedere quei cambiamenti spaziali puntuali, ma anche per sentire e per qualunque altro senso), e la lunghezza spaziale non esiste se non in due istanti separati (altrimenti non c’è informazione spaziale), quindi ha bisogno del tempo: tutto esiste (porta informazione) quando c’è velocità (finita con limite “c”) di informazione, quindi nello spaziotempo. Per scandire/misurare il tempo si può far ricorso ad una teorica “variazione puntuale puramente spaziale” periodica nel tempo (“orologio digitale” a variazione solo di impulso) oppure, più realisticamente, alla velocità di un fenomeno [energia/quantità-di-moto] che, affinché sia finito, deve essere “limitato” (la sua maggior parte) nello spazio (atomi degli orologi atomici, lancette) e ciclico. Sempre comunque c’è bisogno di un tempo che si chiude su se stesso e nello spazio affinché ve ne sia consapevolezza, quindi di un’accelerazione (nella teoria ristretta non c’è dunque consapevolezza del tempo (e dello spazio quindi e quindi della propria velocità per la qual cosa è necessario un segnale informativo che è sempre accelerato)). A seguito dell’accelerazione l'”orologio” non misura mai il tempo “proprio” del “punto-evento” dove mi trovo (in realtà dello sparpagliamento spaziotemporale dei miei “neuroni”). La misura del tempo proprio (dell’isolamento spaziotemporale di “ognuno”) non si può fare, gli orologi non possono esistere.